venerdì 28 ottobre 2016

IL FANTASMA DI CANTERVILLE di Oscar Wilde

Si sta avvicinando Halloween, notte delle streghe, popolata anche da vampiri, fantasmi, zombie, mummie, mostri vari e chi più ne ha più ne metta. E quindi che ne pensate di una bella lettura a tema?
Ma rigorosamente non horror, perché io sono una fifona di prima categoria e non avevo nessuna intenzione di perdere il sonno a causa di un libro. Quindi ho optato per un "evergreen" della letteratura inglese, in tema con il periodo, ma per nulla spaventoso (adatto a grandi e piccini insomma): "Il fantasma di Canterville" di Oscar Wilde.

Hiram B. Otis è un ambasciatore degli Stati Uniti a Londra e con la sua numerosa famiglia, moglie e quattro figli, acquista per abitarvi la grande dimora di Canterville Chase. L'abitazione è da tempo disabitata a causa della molesta presenza di un fantasma, Sir Simon, che da trecento anni terrorizza i vari Lord e Lady Canterville che si sono susseguiti.
I nuovi inquilini americani vengono informati di questo fastidio, ma non si lasciano certo intimorire da simili sciocchezze, forti delle loro certezze positiviste e della loro fede nella modernità, si preparano, molto naturalmente, a rispondere colpo su colpo.
Chi più si divertirà in tutta questa situazione non sarà di certo il fantasma, ma i due gemelli Otis, i più piccoli della famiglia, che le escogiteranno tutte per avere la meglio sullo spirito.


Sicuramente è un classico racconto breve: non si perde in inutili e superficiali descrizioni, ma va subito dritto al punto (la difficile convivenza tra gli Otis e il fantasma). Non ci viene raccontato nulla del prima, dei trecento anni di storia di Sir Simon, se non qualche accenno qui e la, e nemmeno del dopo. Poche pagine, veloci e palpitanti, tutte incentrate sulla vicenda della spavalda famiglia americana, che durerà più o meno solo qualche mese.

Pubblicato nel 1886, non sembra invecchiato poi molto, risulta una lettura piacevole ancora oggi e, come ho detto sopra, adatta a grandi e piccini. Perché grazie allo stile semplice e fluido di Wilde i bambini potranno godere di una simpatica storia di fantasmi e spiriti, senza spaventarsi troppo; mentre la satira e il sarcasmo tipici di questo narratore inglese, doneranno agli adulti un racconto esilarante che mette in scena lo scontro tra due diverse ottusità.
Un libricino godibile da diversi punti di vista e da diverse persone (come una puntata dei Simpson).
Sotto la comicità delle vicende narrate, Oscar Wilde nasconde una critica radicale sia del Vecchio che del Nuovo Mondo: all'ottuso conservatorismo inglese, rappresentato dai Canterville che sopportano un fantasma fastidioso per trecento anni senza fare nulla, si contrappone l'altrettanto ottuso ottimismo americano, caratteristica fondamentale degli Otis inclini a rifiutare qualsiasi situazione che non si accordi con la loro visione del mondo  ristretta e semplificata.
Due mondi così diversi tra loro, ma comunque accomunati da una certa noia costante per la vita e un vuoto esistenziale  tipici delle alte sfere dell'età vittoriana e della nuova classe dirigente americana.

Il fantasma passa sconsolato gran parte del tempo a ripensare ai bei vecchi tempi, in cui riusciva a spaventare  tutti, in cui si impegnava con costumi ricercati e messe in scena elaborate per poter terrorizzare il più possibile diversi abitanti della dimora, arrivando a volte anche a farli scappare. Estremamente nostalgico dei tempi passati e assolutamente indignato per il comportamento di questa nuova famiglia americana, e impreparato ad affrontarli.
Dal canto loro gli Otis sembrano noncuranti di ciò che accade attorno a loro, del fantasma e di tutto ciò che fa per spaventarli. Molto semplicemente si limitano a pulire la macchia di sangue in biblioteca e a chiedere allo spirito di fare meno rumore perché loro devono dormire. Con grande sconforto e frustrazione di Sir Simon.
Il più razionale di tutti è il secondogenito Washington, quello meno spaventato (non lo è nessuno veramente, ma lui meno di tutti), pronto a dare una risposta e soprattutto una soluzione a qualsiasi cosa. I terribili gemelli Otis sono quelli che si divertono di più, sono delle piccole pesti che prendono di mira il povero fantasma e lo tormentano. Più riservata e in disparte è la più grande, Virginia, indifferente all'operato dello spirito, ma anche di tutta la sua famiglia, sarà però lei a dare una svolta cruciale al racconto e a portare il lieto fine.

Wilde era estremamente impegnato a mettere a nudo ciò che non andava in quello che vedeva attorno a sé, ciò che riteneva sbagliato nel suo tempo; ma non sceglieva un modo diretto per dirlo, come si può notare appunto anche ne "Il fantasma di Canterville", piuttosto preferiva uno sguardo ironico e intelligente, una sorta di sorriso amaro, rivolto a chi sarebbe stato in grado di coglierlo.
Tutto ci si poteva aspettare da un autore del genere, ma non che si mettesse a scrivere fiabe. E invece lo fece, ad esempio con Il principe felice e altre storie che è una raccolta di fiabe, ma non le tipiche fiabe per bambini perché egli rifiutò di rifilare alle nuove generazioni storie edificanti e consolatorie, preferendo uno stile cupo con insegnamenti più sottili e ricercati.

Halloween, questa festività anglosassone che sta prendendo vigorosamente piede anche nel nostro Paese, mi piace e mi sta coinvolgendo sempre di più. Al punto che vorrei decorare casa, fare dolcetti simpatici e lavoretti divertenti per i miei immaginari figli e organizzare feste pseudo-spaventose per i loro ipotetici amici (sì, risulto molto americana in questo).
Comincia a piacermi più di quanto mi piaccia il Natale, e sicuramente più della Pasqua (ma questo è un avversario contro cui si vince facile). E chissà che il prossimo anno non mi faccia coraggio e cominci a leggere alcuni romanzi horror, veramente inerenti al periodo, e decida a dedicare tutto il mese di ottobre alle letture in preparazione ad Halloween.
Vedremo... intanto "dolcetto o scherzetto?"

martedì 25 ottobre 2016

IL TERRAZZINO DEI GERANI TIMIDI di Anna Marchesini

Questo romanzo l'avevo regalato circa cinque anni fa a mia madre, a cui era piaciuto molto. Molte volte mi aveva consigliato di leggerlo, ma io non mi ero mai convinta a farlo.
Anna Marchesini era un'attrice, comica, doppiatrice, scrittrice, imitatrice e regista teatrale di grandissimo talento; indimenticabile figura femminile del trio Marchesini/Solenghi/Lopez, che ha arricchito la mia infanzia di risate e divertimento. Impossibile dimenticare la loro parodia de "I Promessi Sposi", perché ancora oggi in casa mia si ripetono battute sentite in quel programma trasmesso dalla Rai nel lontano 1990.
A quasi tre mesi dalla sua scomparsa ho deciso di onorarla come scrittrice, un lato di lei che ancora non conoscevo, e ho preso finalmente in mano la sua prima opera: "Il terrazzino dei gerani timidi".

Per i bambini le esperienze sono tutte prime volte, che si tratti del frullo d'ali di una farfalla che trema tra le dita e poi ruzzola a terra senza vita, o del timore continuo che anche la mamma faccia come quella farfalla.
Attraverso le pagine del suo primo romanzo, Anna Marchesini racconta un'infanzia trascorsa ad affacciarsi sul mondo da un terrazzino che sovrasta il giardino incolto di una vecchia casa disabitata. Un luogo solitario, tutto per sé, con solo i piccioni e poche, sparute piante di gerani a farle compagnia mentre, giorno dopo giorno, la piccola Anna se ne sta seduta a sfogliare libri - diecimila! - e sogni, e osservazioni su ciò che le scorre sotto gli occhi: la gente del quartiere, le suore, il falegname con la gamba di legno, la famiglia. La vita di una provincia italiana degli anni Cinquanta.
Un mondo favoloso dove si ride e si piange e l'inconfondibile sguardo comico dell'attrice si incontra e si salda con una cognizione del dolore intensamente umana.

Di solito sono in difficoltà con libri che non mi raccontano una storia lineare, che non capisco dove vogliano andare a parare. E questo è stato il mio problema durante i primi capitoli di questo libro. Ma poi mi sono detta: "Non ti sta raccontando una storia in modo canonico, ma sta condividendo dei ricordi, quindi devi solo ascoltare." Così ho fatto, mi sono rilassata e ho smesso di analizzare, pensare, riflettere; ed è andata meglio, perché è stato come ascoltare un'amica che mi raccontava un po' della sua vita.
Dopo aver allietato e reso più divertente la mia infanzia, la Marchesini mi ha regalato parte della sua attraverso queste poche pagine ricche di emozioni.

Lo stile è accurato e raffinato, la proprietà di linguaggio di questa straordinaria donna non è da tutti e non risulta per nulla pretenziosa, forzata o un mero esercizio di stile. Alcune parole ricercate e non di uso comune, sparse per ogni pagina, non danno fastidio, non rendono la lettura difficoltosa, ma vanno a comporre una narrazione corposa, affascinante e ricca.
Anna Marchesini dona quella sua vena ironica che la contraddistingue, sottile e incredibilmente penetrante, ma lascia anche qualcos'altro tra le pagine: una sensazione di tristezza, che aleggia per tutto il corso della lettura.
Non ho capito se sia una "tristezza per i vecchi tempi andati", una sorta di nostalgia che affiora mentre ricorda la sua infanzia; oppure una tristezza tipica dell'autrice, una parte molto forte e dominante della sua personalità nonostante fosse un'attrice comica, il classico caso del "pagliaccio triste".

Da subito si capisce che Anna non era certo una bambina come le altre. Molto più matura per la sua età, con un'incredibile capacità di osservazione e di ragionamento tipici di una mente più adulta.
Questa bambina è in grado di perdersi in grandi e importanti riflessioni. Si sofferma su questioni fondamentali per la vita di chiunque: la famiglia, la religione, la vita, la morte, la solitudine e il dolore, in tutte le sue sfaccettature. Arrivando a conclusioni spiazzanti persino per un adulto, che la cambieranno per sempre.
Sicuramente molti ricordi, in quanto tali e per loro natura, vengono manipolati, smussati e visti attraverso gli occhi della persona adulta che li sta riportando su carta, con uno sguardo meno ingenuo di quello di una bambina. Ma le emozioni di cui si circondano e di cui si nutrono sembrano reali e vivide nel cuore e nella mente dell'autrice.

Attraverso particolari minuziosi Anna ci racconta una parte della sua infanzia, soprattutto quella che ruota intorno alla prima Comunione: il vestito, la pettinatura, il catechismo, gli incontri in chiesa, la festa e quello che ne consegue. Ma le pagine sono ricche anche di personaggi che appaiono curiosi agli occhi di una bambina, ma che si rivelano veri e dai tratti ben definiti.
Dal terrazzino di casa sua, tra quei gerani timidi come lei, la piccola Marchesini osserva la sua vita, quella della sua famiglia e delle persone che vede passare in strada. Lo spaccato della provincia di un'Italia che non esiste più, quella vita da quartiere o da piccolo borgo, in cui tutti si conoscono e si salutano, dove il pettegolezzo è all'ordine del giorno, e quando succede qualcosa di importante tutto il vicinato ne è a conoscenza e partecipe.

Il terrazzino dei gerani timidi è un romanzo di crescita, soprattutto interiore. Uno sguardo discreto a un momento di cambiamento, di transito, di passaggio per essere una persona più consapevole. Un cammino che la Marchesini di allora ha fatto guidata dalla curiosità, dalla risolutezza e da innumerevoli libri letti.
Non la ringrazierò mai abbastanza per aver condiviso con me questi importanti, profondi e privati ricordi, che cercherò di custodire gelosamente nel mio cuore.

venerdì 14 ottobre 2016

IL MERCANTE DI VENEZIA di William Shakespeare

A quanto pare a Shakespeare piaceva molto il nostro bel paese, o almeno lo considerava adatto per ambientare le sua opere, perché dopo Otello, Romeo e Giulietta, in parte Antonio e Cleopatra e in un certo modo anche La tempesta, torniamo ancora in Italia, e più precisamente a Venezia, con "Il mercante di Venezia", opera di settembre per la #MaratonaShakespeariana.

Tragicommedia in cinque atti, ambientata a Venezia.
Bassanio, giovane gentiluomo veneziano, vorrebbe la mano di Porzia, ricca ereditiera di Belmonte, ma per corteggiarla ha bisogno di 3000 ducati, che chiede in prestito al suo caro amico Antonio, il mercante di Venezia. Purtroppo al momento Antonio ha tutto il denaro investito in traffici marittimi e non può fare il prestito all'amico, ma decide di garantire per lui presso Shylock il ricco usuraio ebreo. Shylock accorda il prestito a Bassanio, ma in caso di mancato pagamento l'ebreo vuole una libbra di carne di Antonio.
Bassanio allora si reca a Belmonte per corteggiare Porzia. Ma secondo il volere del padre defunto di lei, i pretendenti per ottenere la mano della ragazza devono scegliere lo scrigno giusto, tra tre diversi e contrassegnati da un indovinello. Bassanio, scegliendo il più modesto, ci riesce e sposa Porzia, già precedentemente innamorata di lui.
Intanto Jessica, figlia di Shylock, fugge di casa aiutata dall'amico Lancillotto per sposare il cristiano Lorenzo. Il padre va su tutte le furie, ma si consola alla notizia che tutte le navi di Antonio sono naufragate e quindi non potrà saldare il debito.
Shylock porta Antonio di fronte al Doge e pretende il pagamento con una libbra di carne dal corpo del mercante veneziano. Ma nessuno sa che Porzia e la sua ancella Nerissa, hanno un piano astuto e infallibile per salvare Antonio.

Nel Primo Atto facciamo la conoscenza di due personaggi tristi e malinconici. Da una parte abbiamo Antonio, il mercante, inquieto e triste, ma non sa esattamente perché. In fondo ha tutto: denaro, una posizione, una bella vita agiata; eppure sente di non essere felice del tutto. Dall'altra parte abbiamo Porzia, ricca ereditiera, costretta a sottostare al volere del padre defunto: non può scegliere chi sposare, ma sarà la sorte a farlo.
Per la prima volta non ci sono pene d'amore, sentimenti di vendetta o desiderio di sopraffare gli altri. Ciò che muoverà tutta la storia non è ancora chiaro, ma si scoprirà più avanti.
L'interessante botta e risposta tra Shylock e Antonio, verso la fine dell'Atto, è specchio eloquente dei tempi in cui si svolge la vicenda: Antonio considera deplorevole prestare denaro per interesse, come fa l'usuraio ebreo; ma probabilmente ciò è dovuto al fatto che all'epoca era proibito per legge ai cristiani richiedere il pagamento su un prestito. In questo caso Shylock rappresenta la figura negativa, il cattivo in quanto ebreo e arrogante usuraio, ma in quel periodo purtroppo era uno dei pochissimi lavori concessi agli ebrei; in più lo Stato li tassava pesantemente e quindi erano costretti a chiedere gli interessi.

Il Secondo Atto  è composto da molte e veloci scene diverse. Un Atto molto veloce da leggere, scorrevole e incalzante. Lo scenario di tutta la storia va via via componendosi e il lettore viene a conoscenza anche dell'amore clandestino tra Jessica, figlia dell'ebreo Shylock, e Lorenzo, giovane cristiano veneziano. I due si accordano per scappare e sposarsi, con la collaborazione dell'amico Lancillotto. La fuga fa arrabbiare enormemente Shylock, che vede la figlia come una sua proprietà (alla pari di un oggetto), ma gran parte della collera dell'usuraio è dovuta al fatto che Jessica ha portato via con sé anche del denaro e l'anello della madre defunta. Tutto ciò sottolinea come per l'ebreo sia molto più importante mantenere le sue proprietà e la sua ricchezza, invece della figlia.

Arriviamo all'Atto che si discosta di più dagli altri, quello più tranquillo, allegro e felice, perché nel Terzo Atto abbiamo la scena in cui Bassanio sceglie lo scrigno giusto (quello di piombo) e corona il suo sogno di sposare Porzia (anche lei innamorata di lui). In più c'è anche l'unione tra l'amico di Bassanio, Graziano, e l'ancella di Porzia, Nerissa. Un amore un po' buttato lì quest'ultimo, secondo me, per rendere il tutto ancora più lieto, prima delle rocambolesche vicende finali.
Qui il lettore si accorge anche dei profondi e inespressi sentimenti provati da Antonio nei confronti di Bassanio, quando il mercante manda all'amico una lettere di "addio" chiedendogli di poterlo rivedere per l'ultima volta prima di morire.

Il mio preferito è indubbiamente il Quarto Atto, in cui Porzia e Nerissa si travestono da uomini (avvocato la prima e scrivano la seconda) per recarsi a Venezia e aiutare Bassanio, inconsapevole del travestimento, a salvare la vita di Antonio. E Porzia lo fa architettando lei stessa un piano molto astuto e intelligente.
Mi piace perché in questo caso Porzia non è una donna in balia degli eventi e costretta a sottostare al volere di un uomo. Ha la sua personalità, il suo carattere e decide per il suo futuro. Così è in grado di agire autonomamente per salvare suo marito e l'amico Antonio.

Posso essere sincera con voi? Il Quinto Atto non mi è piaciuto, l'ho trovato superfluo. Un'unica scena messa lì per fare numero e allungare un po' il brodo. E tutta la storia degli anelli che Porzia e Nerissa hanno donato ai rispettivi mariti, i quali non li considerano importanti e li hanno regalati all'avvocato e allo scrivano, l'ho trovata tediosa e mi ha annoiata. Una serie infinita di recriminazioni e minacce, per poi liquidare tutto con "Non preoccupatevi...eravamo noi travestite!!". Non potevano semplicemente dirlo subito? Se volevano farsi una litigata, non potevano scegliere una motivazione più interessante?


"Il mercante di Venezia" è un'opera difficile da collocare in un determinato genere: non è proprio una tragedia, perché ha un lieto fine, ma non è nemmeno una commedia, per mancanza di allegria e leggerezza. Diciamo che è un buon esempio di tragicommedia infarcita di un po' di umorismo nero.
Il motore che muove tutta l'opera non è un amore tormentato, un sentimento di rancore  e vendetta, oppure una smania di potere e conquista. In questo caso il nodo cruciale della vicenda sono i soldi, tutto ruota intorno al concetto del vile denaro e di quanto questo possa corrompere. Per questo non esiste un solo personaggio negativo, un vero cattivo (e nemmeno un personaggio totalmente buono e positivo). Shakespeare approfondisce di più l'animo umano, mostrando come non tutto sia bianco o nero, ma ci siano un'infinità di sfumature nella personalità e nel carattere di ogni personaggio.

Ho notato, e nel gruppo della #MaratonaShakespeariana potrete notare che non sono stata l'unica, che ciò che rendeva Antonio così malinconico è presumibilmente l'amore omosessuale e impossibile da esprimere per Bassanio. Potrebbe sembrare la motivazione più plausibile, anche perché consapevole di questo amore non corrisposto, perché Bassanio è indubbiamente innamorato di Porzia, Antonio è disposto a sacrificare la sua vita per il bene e la felicità dell'amico

Il personaggio che rimane più impresso è sicuramente Shylock, il ricco usuraio ebreo a cui Bassanio e Antonio si rivolgono per avere del denaro in prestito. Purtroppo, per gran parte della Storia, questo personaggio fu visto e considerato in modo negativo. Infatti, il luogo comune per cui gli ebrei erano ottimi usurai è rimarcato in quest'opera teatrale, che viene anche accusata di antisemitismo. In tutta la narrazione c'è una forte presenza di atteggiamenti persecutori verso gli ebrei; anche se forse questa non era l'intenzione di Shakespeare, ma rispecchiava solo il contesto storico in cui viveva.
La situazione degli ebrei in quel periodo è presto nota: cacciati dalla Gran Bretagna nel 1290 da Edoardo I, poterono tornare sull'isola solo nel 1656 (molto dopo gli scritti di Shakespeare). A Venezia e dintorni, invece, gli ebrei erano costretti a vivere in ghetti sorvegliati da guardie cristiane e a portare un copricapo rosso, in moda da essere facilmente riconoscibili. In più, nel teatro elisabettiano, essi erano rappresentati con nasi adunchi, parrucche scarlatte e definiti "avidi usurai".
Un piccolo, ma importante e incisivo, mattone (secondo me) che andrà a formare e rendere più stabile quella terribile macchina di propaganda negativa attuata nel Novecento durante il nazismo. Basti pensare che la Germania nazista usò anche il personaggio di Shylock per incrementare la loro ideologia e i pregiudizi di tutta la nazione, trasmettendo l'opera via radio immediatamente dopo la Notte dei Cristalli.